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Una via del centro di Delhi

Delhi di solito non è considerata la tappa d’elezione di un viaggio in India, al più è un punto di partenza, o di arrivo, una sosta obbligata ma non necessariamente amata. La sua fama non l’aiuta: una megalopoli di 20 milioni di abitanti, titolare di tutti i record di inquinamento nazionali e internazionali, una metropoli a tratti fatiscente, calda in modo infernale d’estate e dove d’inverno può fare discretamente freddo, con problemi di traffico, di smog, di rifiuti.

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La grande moschea di Delhi

Ma se la sua attrazione più famosa, il gigantesco Red Fort, il Forte Rosso, può rappresentare una piccola delusione confrontato con le fortezze splendidamente mantenute e restaurate del Rajastan, merita senz’altro il Chandni Chowk, il pittoresco e caotico quartiere del mercato che circonda la Jama Masjid, la monumentale moschea di epoca moghul: questo è il centro della vecchia Delhi, un agglomerato fitto di case e palazzi, un tempo cinto da mura che qui e là riaffiorano, e di cui restano le porte.

Tuttavia le memorie più antiche e spettacolari della città si trovano a Mehrauli, a Sud del centro dove un parco archeologico di 200 acri raccoglie un centinaio di edifici storici risalenti a diverse epoche, da quella pre-islamica ai Moghul fino al periodo coloniale. Una passeggiata nella storia tra viali alberati, aiuole fiorite e affascinanti e misteriose rovine che mescolano palazzi, moschee e memorie di templi indù e jainisti.

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Dettagli complesso di Al qubt Dehi

Spiccano su tutti il duecentesco Qutb Minar, il più alto minareto in mattoni del mondo, voluto dal sovrano musulmano Qutubuddin Aibak e la cosiddetta Colonna di Ferro, o colonna di Ashoka, datata 423 d.C. eppure misteriosamente priva di ruggine. Ma molto ancora c’è da scoprire e restaurare e il sito si evolve e arricchisce ogni anno di novità tutte da scoprire.

Il Mahatma Gandhi, padre dell’India

Non si può andarsene da Delhi senza aver reso omaggio al padre dell’India moderna, il Mahatma Gandhi: sulla Ring Road di Delhi, comunemente conosciuta come Mahatma Gandhi Road, il Raj Ghat sorge sulla riva occidentale del fiume Yamuna, nel punto esatto in cui i resti del grande leader furono cremati il 31 gennaio 1948, il giorno successivo al suo assassinio compiuto da un fanatico indù radicale. Il mausoleo, semplice ed elegante, è circondato da giardini disseminati di targhe che riportano le sue frasi più note. Per approfondire, poco lontano, il National Gandhi museum raccoglie foto, articoli d’epoca e ricordi della sua vita. Si può anche ascoltare il suo battito cardiaco, riprodotto al computer e ricavato da un suo elettrocardiogramma.

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Taj Mahal

Agra e la settima meraviglia del mondo 

A un paio di ore di treno, Agra è la meta forse più nota dell’India, la città del Taj Mahal, una delle sette meraviglie del mondo moderno, il monumento funebre emblema dell’amore coniugale, voluto dall’imperatore indiano Shah Jahan in memoria della sua moglie favorita, Arjumand Banu Begum nota come Mumtaz Mahal, la luce del palazzo, morta dando alla luce il loro 14° figlio.

La storia intera è più triste che romantica. L’imperatore ordinò la costruzione dell’edificio nel 1632; i lavori durarono 22 anni per concludersi nel 1654, appena quattro anni dopo Shah Jahan si ammalò e il figlio Aurangzeb lo incarcerò per prenderne il posto e l’imperatore detronizzato morì nel 1666, contemplando il monumento dalla finestra del suo carcere.

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Una delle due moschee a fianco del Taj Mahal

La realizzazione del complesso, che comprende anche due moschee ed è circondato da un enorme e curatissimo giardino, occupò ben 20 mila persone tra cui artigiani provenienti dall’Europa e dall’Asia Centrale e un artista italiano, Geronimo Veroneo. Ma tutte le cifre che riguardano il Taj Mahal sono iperboliche: venne costruito utilizzando materiali provenienti da ogni parte dell’India e dell’Asia: il marmo bianco di Makrana, il diaspro del Punjab, la giada e il cristallo cinesi, i turchesi del Tibet e i lapislazzuli dall’Afghanistan, e poi gli zaffiri dello Sri Lanka e la corniola dall’Arabia. In tutto 28 diversi tipi di pietre preziose e semipreziose incastonate nel marmo bianco a formare decorazioni regolari e simmetriche. Il costo? 32 milioni di rupie. Che allora erano un patrimonio e anche al cambio attuale rappresentano la rispettabile somma di oltre 400 mila euro.

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Alba al Taj Mahal

Ma Agra non è solo Taj Mahal: la città è ricca di testimonianze dell’epoca in cui era la capitale del potente impero Moghul, dall’immancabile Forte rosso, costruito nella tipica arenaria locale, al Mausoleo di I’timād-ud-Daulah, noto come “Piccolo Taj”, alla tomba di Akbar, fino alle numerose moschee.

Sikri, la città fantasma

Ad appena 40 km da Agra merita una visita Fatehpur Sikri, la città della Vittoria, per un breve periodo capitale sotto il regno di Akbar che la ricoprì di moschee e splendidi monumenti facendone un capolavoro dell’architettura indo-islamica.

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Fathepur Sikri

Appoggiati su livelli inclinati collegati tra loro dalle terrazze, i vari complessi, Jami Masjid, Buland-Darwazah e la tomba dello sceicco Salim Chishti, Khass Mahal, Shahi-Bazar, Mina-Bazar, il Panch-Mahal, Khwabgah, Diwan-i-Khass, Anup-Talao, Chaupar e Diwan-i-Am formano un piano urbanistico grandioso e oggi del tutto abbandonato. Costruita sulle rive di un lago oggi prosciugato, al centro di una regione un tempo fertile, Fathepur Sikri è una vera città fantasma, affollata solo dai fedeli in visita alla tomba del mistico astrologo musulmano il santo Sufi Sheikh Salim Chishti, che risiedeva in una caverna della zona.

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Orchha

Orchaa e suoi palazzi, Kajuraho e i suoi templi

Nel caso si voglia arrivare fino a Varanasi in auto, o in bus, due tappe intermedie abbastanza di strada sono Kajuraho, con la sua incredibile “collezione” di templi induisti e jainisti, ben 22, sopravvissuti agli originari 80, tutti edificati prima dell’anno Mille, e Orchha, capitale decaduta del regno dei Bundela, oggi poco più di un villaggio sulle rive del torrente Betwa, dove restano palazzi affrescati e cenotafi splendidi e diroccati, a volte usati come fienili e stalle, a testimoniare il passato splendore. Inoltrarsi nel labirinto dei palazzi racchiusi dentro la fortezza sul fiume percorrendo a piedi il ponte settecentesco è un’esperienza, venditori e mendicanti permettendo, quasi da Indiana Jones.

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Varanasi, i ghat

Varanasi, dove si può raggiungere il Nirvana

Di Varanasi si dice che è la meta se dell’India si può, o si vuole, vedere solo un luogo. E’ vero, perché la città più sacra del subcontinente, il luogo dove ogni indù vorrebbe nascere o morire, è un concentrato di tutto ciò che affascina e respinge nel paese: misticismo e commerci, fasto e miseria, spiritualità e spazzatura, incenso e letame. Un’esperienza forte e unica, dai ghat dove ogni anno vengono cremati 30 mila cadaveri di fortunati che finiranno nel Gange il ciclo delle reincarnazioni per ascendere al Nirvana ai mille templi dedicati a divinità note e oscure che sono tutte emanazioni dell’unico creatore.

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Varanasi, il ghat delle cremazioni

Il tipico pellegrinaggio induista a Varanasi prevede un percorso di 6 giorni e un totale di 58 km che si snoda per la città e per i dintorni. Per tutti la meta principale è il Kashi Visvanath , il tempio dedicato a Shiva, il protettore della città, ma ognuno può elaborare un suo percorso, a partire dagli 88 ghat, le enormi scalinate che si affacciano sulla riva occidentale del Gange e che a ogni ora sono affollati di fedeli che si bagnano nelle sacre e fetide acque del fiume e che all’alba e al tramonto diventano teatro per le puje, le cerimonie che celebrano con canti, danze e giochi con candelabri accesi, Surja, il Sole. 

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Puja dell’alba a Varanasi

 

Testo e foto di Carla Reschia

 

 

Carla Reschia

Carla Reschia

Viaggia il più possibile, per lavoro e per passione. Fotografa e scrive, anche qualche libro: Quando l’orrore è donna: torturatrici o kamikaze, vittime o nuove emancipate, con Stefanella Campana (Editori riuniti, 2005), In viaggio con la cucina ebraica (Algra editore, 2016), gli ebook Le vie della seta (Elison publishing, 2016), un diario di viaggio in Asia Centrale, e la raccolta di racconti La moglie dell’ebreo errante (Tiqqun, 2017). Ha lavorato per Specchio della Stampa e collaborato ad Airone, Qui Touring e altri…Sulla Stampa scrive di ambiente e di viaggi e traduce dall’inglese e dal francese, collabora con reportage di viaggio alla rivista online Erodoto 108.
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