
Nella terra del vino Dolcetto, in provincia di Cuneo, il fiume Tànaro e le piogge hanno costruito un singolare paesaggio di calanchi, ai più sconosciuti.
È un riflesso condizionato. Alla parola calanchi associamo mete turistiche quali Civita di Bagnoregio in Abruzzo, Aliano in Basilicata, il Parco dei Calanchi in Provenza. È il luogo comune, quello che non costa fatica. E allora ci ritroviamo tutti nei medesimi posti, magari lamentandoci dell’affollamento. Lo stesso luogo comune che impedisce, a chi visita le terre del vino del basso Piemonte, di proseguire oltre le dolci colline del Barolo e quelle, più aspre, del Dolcetto di Dogliani.
Così si passa da una degustazione in una cantina di La Morra (Barolo), seguendo la valle del Tànaro, direttamente ai Dolcetti di Dogliani. Meno di trenta chilometri di buona e anonima strada. Eppure sulla sinistra, un po’ distanti, all’altezza del paese di Farigliano si osservano i vigneti affacciati sui bianchi dirupi che precipitano nel fiume. Sono le vigne alte del Dolcetto. Qui, la curiosità del viaggiatore non può fare a meno, dopo Farigliano, di prendere a sinistra per Clavesana e avvicinarsi a quelle pareti bianche. La deviazione viene premiata sia dalla presenza della Cantina dei produttori di Clavesana, dove degustare i migliori Dolcetto e Dogliani, sia dal paesaggio dei Calanchi.

Per valorizzare nel modo corretto questo singolare angolo di natura è nata, recentemente, l’Associazione Calanchi. Il suo scopo è rendere accessibili le “Rocche”, come vengono chiamati nel dialetto locale, non solo dal basso, lungo il mutevole percorso del fiume, ma anche dall’alto. Proprietà dell’Associazione è un prato che si affaccia sul fiume dalla località Rocche dei Perticali. Lo si può raggiungere in auto, seguendo le indicazioni che attraversano il borgo di Clavesana Vecchia: l’ultimo tratto è una stradina di campagna che conduce a uno splendido balcone. Sotto, le pigre anse del Tànaro e, all’orizzonte, la pianura di Cuneo, con la vista che si allunga fino alla catena del Monviso. Dal basso i calanchi si raggiungono a piedi, per un sentiero che attraversa i ghiaioni lasciati dal fiume dopo l’ultima piena. Al termine, attraversato un sottile velo di alberi si sbuca su spiaggette di sabbia e gore di acqua che riflettono l’azzurro del cielo. Davanti a noi le alte, scoscese, frastagliate pareti dei Calanchi, mutevoli nei colori dal tramonto all’alba, aprono il loro spettacolo.

Come si formano i calanchi
Suoli argillosi e azione dell’acqua, sia quella che cade dal cielo, sia quella che scorre nei fiumi. È la ricetta, adottata dalla natura, per costruire le mutevoli architetture dei calanchi, profondi solchi che incidono a lama di coltello pendii scoscesi. In altre parole: è il dilavamento di terreni teneri operato dall’acqua. Pioggia dall’alto, erosione dei fiumi dal basso. Un processo continuo che ogni anno fa crollare vecchi calanchi e ne crea nuovi: il fiume mentre porta via, deposita in nuove spiaggette il materiale eroso. Tra le cause storiche dei calanchi – dicono gli esperti – il disboscamento delle antiche foreste che coprivano la maggior parte del territorio.
E, per finire, una curiosità riguardo al Tànaro che, per i fortuiti casi della storia, non ha soffiato al Po il record di fiume più lungo del nostro Paese. Nasce sulle pendici del monte Saccarello, al confine tra la provincia di Cuneo e Imperia, tra Italia e Francia. Si getta nel Po a Bassignana, in provincia di Alessandria, dopo un percorso di 276 km. Il Po, quando lo riceve, è lungo appena 230 km. Secondo l’uso dei geografi, quando due fiumi s’incontrano è quello più lungo che dà il nome al fiume generato dalle due acque. Ma gli antichi geografi, che diedero il nome ai fiumi, non avevano misurato bene la lunghezza del Tànaro che, come il monaco Martin, per un punto perse la cappa, e il primato di fiume più lungo del Paese, con i suoi 710 km.
