Servizio fotografico di Giovanni Tagini

Olbia, Civitavecchia, Ischia. Si arriva in fondo allo stivale, sempre in cerca di lanterne, sino a Ustica e Lampedusa. Fari di terre selvagge, degni di una vita da eremita.

Dalla Sardegna al medio Tirreno
Razzoli: per molti questo nome non vuol dire nulla, ma quando si parla di fari non si può non raccontare dell’esistenza di questa torre sarda più sola di qualsiasi altra, parecchie miglia oltre le isole di Spargi e Budelli, in un angolo del parco della Maddalena che pochi conoscono. Ebbene, il paesaggio lunare di Razzoli è fatto di rocce lisce e di una rara vegetazione selvaggia: la torre del faro risale al 1845 e qui hanno vissuto in completo isolamento diverse famiglie di faristi fino agli anni Sessanta, rifornite di acqua con le navi e di luce dai lumi a petrolio. Qui, alcuni maestri passavano un intero inverno per far lezione ai figli dei guardiani: dai loro diari, si ricavano pagine di vita, una vita molto particolare, fatta di aule senza porte e di ragazzi senza nulla, se non il mare, la natura e le stelle. La Sardegna è piena di fari che sorprendono per la loro architettura e per il loro “vissuto”: per esempio, non lontano dal caos lussuoso di Liscia di Vacca e Porto Cervo, c’è il silenzio di Capo Ferro, con un faro delicato e circondato da un giardinetto; al largo di Olbia, si apre lo scorcio unico del faro di Isola della Bocca, mentre a Capo Spartivento si respira a 80 metri sul livello del mare l’aria dell’Africa che da qui dista solo 189 chilometri. E poi ancora la torre arroccata su Capo Caccia, l’antico Caput Hermeum dei latini, dalla quale si domina il mare aperto.
Antico e moderno si rincorrono, anche scendendo in navigazione tra gli altri fari del Tirreno. Eccoci a Civitavecchia, il cui antico faro è sostituito dalla torre “quasi ellittica” del 1951; poi a Capo d’Anzio, dove la lanterna si affaccia sulle rovine archeologiche della villa di Nerone.

faro di Capo Miseno, golfo di Napoli
Faro di Capo Miseno, golfo di Napoli.

Dalla Campania alla Sicilia
A Ischia, la lanterna di Punta Imperatore andrebbe vista al tramonto, quando sembra incendiarsi con il rosso del sole. Il faro del 1884 si affaccia da un’altezza di oltre 160 metri e si trova nella parte nord dell’isola: è affascinante arrivarci via terra, inerpicandosi tra i tratturi e le mulattiere dell’ultima striscia di paesaggio, ben lontana dalla confusione degli alberghi. E si pensa lo stesso  a Capri, dove il faro sorge a Punta Carena, nella zona di Anacapri, uno straordinario
esemplare di torre e di lanterna di fine Ottocento, tutto un complesso molto ben tenuto. Nessuna traccia dell’antico faro caprese, costruito all’epoca di Domiziano (51-96 d.C.) e funzionante fino al XVII secolo. Così come a Napoli, dove l’antica lanterna raffigurata da tanti pittori vedutisti è oggi la torre circolare che ha al suo fianco la statua di San Gennaro.
Scendiamo verso la Calabria, dove il faro imperdibile è quello di Capo Vaticano, in cima allo scoglio in cui si dice che arrivasse il vaticinio per i naviganti della sacerdotessa Manto, capace di predire il destino. Sapore d’ antico anche davanti al faro di Messina, ma con grande delusione: la  mitica lanterna  citata in tanti testi e raffigurata persino su un denaro d’argento del IV secolo, è la torre abbandonata di Punta San Raineri, la cui luce sorge da un torrione in pietra che sembra un fortilizio sul mare. La Sicilia è piena di fari interessanti, come Cozzo Spadaro (nella zona meridionale, non lontano da Capo Passero e dalle tante tonnare) o come Capo Scalambri che è un faro “televisivo”, dato che qui sono state girate le puntate della fiction “Il commissario Montalbano” e la luce della lanterna si accende proprio sul lembo di spiaggia dove il commissario-tv a volte va a nuotare. Si resta invece senza fiato a Strombolicchio, l’isolotto che si trova davanti a Stromboli, i cui gradini sono nascosti nella roccia: salendo, si ha l’impressione di toccare il cielo avendo ancora i piedi nel mare, tra le onde, tra i fondali che qui sembrano di cristallo e l’aria calda e fumosa del vulcano.
A San Vito Lo Capo (Trapani),  il furore dei venti fa oscillare la lanterna così come descriveva lo storico Jules Michelet, a metà Ottocento, osservando “l’ondulazione delle torri più antiche e più solide”. Emozioni fatte di terra e acqua, come lo sono i fari, che appaiono luoghi di confine, con un’identità sospesa, né appartenenti al mondo del mare né a quello della terraferma. E lo provano gli antichi documenti notarili del Regno delle Due Sicilie, in cui il territorio di una città costiera si definiva “al di qua del faro” perché “al di là” c’era solo la torre, c’era solo il mare. Impressioni forti, che si sentono guardando l’acqua dall’alto dei fari di Ustica (anche qui una storia noir, un terribile omicidio che vi accadde nel 1933 quando furono uccise due donne da alcuni confinati mafiosi) e da quelli di Lampedusa e Pantelleria, selvaggi e degni di una vita da eremita

Enrica Simonetti

Enrica Simonetti

Per 4 anni ha lavorato nell’emittente Antenna Sud e ha pubblicato articoli su National Geographic Italia, Il Gommone, Traveller e Lettera Internazionale. Ha viaggiato molto in Italia, in Europa, negli States e in NordAfrica. Appassionata di storia del mare, ha compiuto uno studio- reportage sui fari italiani, dal quale sono nati tre libri, pubblicati da Laterza. Con un gruppo di scrittori del mare anima la “Vedetta sul Mediterraneo”, una vecchia torre a Giovinazzo (Bari) inaugurata da Pedrag Matvejevic, in cui si tengono incontri sul mare e mostre fotografiche. Lingue: inglese, francese, spagnolo.
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