
Partiamo dalla fine: la mostra Henri Cartier-Bresson Cina-1948-49/1958, al Mudec di Milano fino al 3 luglio, va vista. Riunisce un corpus di oltre 100 fotografie e documenti di archivio del fotoreporter francese, provenienti dalla Fondazione Henri Cartier – Bresson.
Il 25 novembre 1948 la rivista Life commissiona a HCB un reportage sugli ultimi giorni di Pechino prima di Mao; avrebbe dovuto restare un paio di settimane, ma vi rimane con la moglie per dieci mesi per poi ritornarci nel 1958. Una pietra miliare del fotogiornalismo con immagini diventate da subito famose.
Ne spicca una in particolare, con una storia che riassume tutta la poetica del grande fotografo : “Alla fine della giornata, la gente aspetta in coda sperando di poter acquistare dell’oro.” Shanghai, 23 dicembre 1948.
Su un marciapiede lungo il quale si trovano le maggiori banche, le porte sono chiuse e la gente si ammassa sperando in una riapertura. Calca, risse, tafferugli, sguardi della gente in coda, panico. Cartier-Bresson realizza in quel periodo 26 rullini da 36 scatti che spedisce in Occidente. Delle circa 900 immagini ne vengono scelte 200 (percentuale altissima) tra cui questa che diventerà una delle più celebri.
Il fotografo era avvezzo ad allegare alle spedizioni veline con una descrizione talvolta sommaria, più spesso accurata, delle immagini. La foto della fila a Shanghai non aveva didascalia. Era la numero 37. Per chi ha qualche capello bianco o usa ancora la pellicola, sa che il 37° fotogramma nel piccolo formato a caricamento manuale è un’incognita. Se la camera viene caricata con i soliti due scatti a vuoto, difficilmente si otterrà un fotogramma in più, oltre ai canonici 36.
Quindi, che la famosa fotografia di HCB sia proprio la trentasettesima, inaspettata, conferma che il reportage è regolato dal caso, dall’ostinazione e dall’azzardo. E ogni scatto, colto al volo o studiato, dovrebbe essere accompagnato dal fotografo, come ricorda Cartier-Bresson, con le ultime parole pronunciate nell’Ulisse di Joyce: “Sì, Sì, Sì”.