Molto si è insistito per portare a Milano per l’Expo i Bronzi di Riace, ma il Museo Archeologico di Reggio Calabria non li ha voluti prestare. Si può dire che è stata una fortuna, perché i visitatori di Expo oggi possono ammirare nel padiglione Italia un’opera pressoché sconosciuta, di eccezionale valore: i Grifi della Daunia (IV secolo a.C.). E’ un gruppo scultoreo di circa un metro e mezzo di base e uno di altezza che raffigura due grifoni (uccelli mitologici) con il corpo di leone e la testa di drago, mentre sbranano un cervo femmina. La scena è drammatica, la qualità dell’esecuzione stupefacente. La preda è distesa sotto gli artigli delle belve che la bloccano ai lati. Il collo dei due mostri si curva sinuoso per mordere la carne dell’animale ferito, che alza la testa e prova inutilmente a ribellarsi. All’altezza delle zampe anteriori dei grifoni s’innestano le ali, incise da larghe piume, che in passato sostenevano un tavolo mensa (trapezophoros) scolpito nel prezioso marmo pario della Grecia. Come le statue classiche anche i Grifi erano dipinti, di rosso lungo il collo , di azzurro sulle piume delle ali, come si vede da alcune tracce di vernice. Di sicuro apparteneva a qualcuno importante, colto e raffinato, probabilmente un principe daunio sepolto quasi 2500 anni fa nei pressi di Ascoli Satriano. E’ un pezzo unico al mondo, tornato in Italia solo nel 2007, restituito (controvoglia) dal Getty Museum di Malibù che lo aveva acquistato nel 1985 da un mercante d’arte.
Interessante la storia del suo ritrovamento, a dir poco rocambolesca. Comincia a metà degli anni Settanta con uno scavo archeologico illegale e la conseguente vendita del reperto nel mercato clandestino internazionale. Dopo alcuni passaggi di mano, i grifi della Daunia arrivano al museo della California (acquistati per oltre 5 milioni di dollari), che non ne approfondisce la provenienza ambigua. Nulla si sa fino al 1995, quando i carabinieri scoprono in Svizzera il magazzino di un noto trafficante d’arte, Giacomo Medici, con all’interno documenti e fotografie che ritraggono i pezzi rotti del trapezophoros appena scavato. Le indagini successive portano a un tombarolo pugliese, tale Savino Berardi, a quel tempo gravemente malato. Che, forse per questo, decide di confessare agli inquirenti tutta la verità sui suoi traffici illeciti, non riguardanti solo i grifoni ma anche altri marmi della stessa tomba. Berardi racconta che dopo averli scavati clandestinamente sistema i preziosi oggetti, di cui non conosce il valore, in una cassa che tempo dopo gli viene sequestrata dalla Guardia di Finanza. Neanche le autorità capiscono subito quanto quei reperti archeologici siano importanti e della cassa si perdono le tracce. Ora, dopo la confessione del tombarolo, appare a tutti evidente che la cassa contenga anche il resto del bottino. Si scatena quindi una caccia al tesoro, si fruga ovunque negli archivi, ma solo nel 2006 la cassa viene individuata nei magazzini della Soprintendenza di Foggia, grazie al fatto che sull’esterno compare scritto il nome di Berardi. Dentro ci sono il resto del corredo funerario del principe, otto vasi e due mensole marmoree. Il puzzle ora è completo. Anche se purtroppo della tomba non si sa nulla, distrutta dallo scavo clandestino. Il contenuto invece è intatto, compresa la preziosa vasca rituale (podanipter) con una scena policroma del mito di Achille, venduta anch’essa insieme ai Grifoni. Finita l’Expo, torneranno nella loro casa, il piccolo museo di Ascoli Satriano, in una vetrina completamente rinnovata, adeguata al valore della scultura. L’opera è esposta nello spazio Confidustria del Padiglione Italia (non c’è bisogno di fare la fila).
INFO
Ascoli Satriano
Polo Museale Museo Civico e Diocesano
via Santa Maria del Popolo 68
tel. 0885651756
www.comune.ascolisatriano.fg.it