
Ebbene sì. In molti hanno scritto di lei dopo la sua morte. Lo faccio anch’io. Mi sono innamorato di Monica Vitti quando avevo vent’anni ed ero travolto dai film di Antonioni di cui lei era l’ineguagliabile protagonista. Alienazione e incomunicabilità erano il mio pane in quegli anni.
Sono stato ammaliato quando l’ho intervistata alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1993 dove era venuta a presentare il libro della sua vita Sette sottane. Un’autobiografia involontaria (Sperling & Kupfer). Intervista pubblicata in varie riviste e nel mio libro Persone. Protagonisti 1980-2014 (Il Canneto).
Ho ancora nella mente e nel cuore la sua voce roca e sensuale, le sue risate travolgenti e le sue parole ironiche. E’ stata una lunga intervista realizzata in un sontuoso palazzo nobiliare di Venezia dove era ospite.
Era dolce anche un po’ timida, allegra, imprevedibile. Visione azzurra. Occhi azzurri. Tailleur azzurro. Scarpe e borsa azzurre. Monica Vitti era come un cielo di primavera, dove s’inseguono nubi fioccose fra lampi di sole. La pelle candida, lattescente, punteggiata di microscopiche efelidi. I lunghi capelli, gonfi, biondi come il grano maturo. Il sorriso pronto, luminoso, seducente, accattivante, che increspava le sue labbra rosse come le ciliegie appena mature.
Sicura di sé, ma anche con tante paure. Ecco cosa mi ha raccontato di sé.
“Mangiare è sempre una festa. Mi piace tutto. Soprattutto i dolci. E poi il cibo mi rasserena, placa l’ansia che a volte mi aggredisce improvvisamente. Spesso mi alzo nel cuore della notte dopo un brutto sogno. Le gambe mi portano verso il frigo e inevitabilmente sento crescere la fame. I babà al rhum diventano una tentazione irresistibile….”
“Ho paura di volare. Quando sento la fatica che fa lui, l’aereo, a sollevarsi da terra, penso: Chi glielo fa fare? Gli peserò? Chissà se ce la farà ad alzarsi? Siamo ancora ai primordi dell’aviazione. Chissà che diavolerie voleranno nel cielo fra cinquanta, cento anni, quando noi non ci saremo più”.