
La Morra è un borgo piemontese di 2760 anime. Ti affacci alla balaustra della piazza del Belvedere e la vista spazia sulle Langhe del Barolo. Qui ci sono sette sentieri, il numero 6 è senza dubbio il più completo e affascinate: un anello che parte dal paese, e al paese torna.
Percorriamolo in modo inconsueto: non solo paesaggio ma storia, leggenda e tradizione. Alle porte del paese, sulla strada che porta a Barolo, una palina ne indica l’inizio. Lungo il percorso altre paline di colore giallo indicano la direzione . Scendi per una ripida strada e sulla sinistra si apre la visuale su La Morra e i bastioni medievali. Davanti, in basso, il paese di Barolo, quello che diede il nome al vino. Il suo castello non svetta su un’altura, ma è circondato da colline. Leggenda vuole che i marchesi Falletti, feudatari del luogo, lo edificassero in quella conca per non rubare spazio ai terreni alti e soleggiati adatti alla vite. Spiritosa invenzione, l’avrebbe detta il goldoniano Lelio. Come la frase scritta sul frontone del mercato coperto di La Morra “… Et de Murra ad nostrae Romae metropolim perduximus vina…” attribuita a Giulio Cesare. Spiritose invenzioni e palesi anacronismi: Carlo d’Angiò concesse ai Falletti il feudo di Barolo nel 1307, quando la zona era foresta e La Morra venne fondata attorno all’anno Mille dai Benedettini nel luogo chiamato Loci Murrae, recinto delle pecore. Ma tant’è: la realtà, in questo caso quella ad uso turistico, imita sempre la fantasia, come suggeriva Borges.
Il castello di Barolo, che diede nome al vino – ph. Edo Prando
Seguendo le indicazioni attraversiamo vigne, incontriamo sparuti gruppi case, antichi insediamenti sorti nelle vicinanze di una sorgente, di un piccolo rio che scende dalla collina. In questa zona l’acquedotto arrivò solamente negli anni Sessanta del secolo passato. Ed ecco la frazione Annunziata, con l’antica abbazia benedettina di San Martino di Marcenasco. L’abbazia, in parte restaurata, ingloba il Museo Ratti del Vino (visita su prenotazione).
Scendiamo per una sterrata fino ad arrivare a un rio, di fronte a noi il ripido Bricco di San Biagio. Tutto a vigneto, si favoleggia che in cima si ergesse un castello. Un piccolo ponte, un bivio, prendiamo a sinistra, e risaliamo verso la frazione di Santa Maria. Ci fa da riferimento la chiesa. Dal suo piazzale, nelle giornate limpide, l’occhio arriva fino alla catena del Monte Rosa. Fu costruita nel 1888 sulle vestigia di una cappella romanica.

L’errore del capomastro
Nella vicina Dogliani l’architetto Giovanni Battista Schellino, soprannominato il Gaudì delle Langhe, aveva edificato in stile neogotico la parrocchiale e il cimitero. Gli abitanti di Santa Maria non vollero essere da meno e commissionarono una chiesa neogotica a un capomastro del vicino paese di Diano d’Alba. L’impresa eresse ponteggi e innalzò muri. Venne il gran giorno, si tolsero i ponteggi e… apparve una chiesa neoromanica. Il resto è storia di carte bollate, durata anni.
I campanili di La Morra incombono dall’alto. Ancora tre chilometri, sull’accidentata sterrata che, fino agli anni Sessanta, collegava la frazione al paese. La vista si allarga sulla Bassa e Alta Langa, all’orizzonte colline che guardano già il mare.
Duecento metri dopo la chiesa, proprio all’inizio della sterrata, un’enorme panchina rossa. Fa parte del Big Bench Community Project del designer americano Chris Bangle, che ha disseminato la Langa di panchine giganti dai colori vivaci. La superiamo e saliamo in mezzo a vigneti. Una cinquantina d’anni fa non c’erano. Il luogo era occupato da un fitto bosco. Un ricordo dell’antica macchia si ha circa a circa metà strada dove, sulla destra, ci possiamo affacciare sulle Rocche delle Patarine, profondo calanco che precipita alla sorgente di un piccolissimo rio.
Leggende e fatti aleggiano proprio su questa curva. La più antica riguarda i Catari. Si tramanda riparassero qui, fuggendo le persecuzioni. La storia, quella recente, invece narra di tragici e non sempre commendevoli fatti partigiani dell’ultima guerra. E poi, prima di sbucare sulla provinciale che ci riporterà in paese, i ruderi di un ciabòt, capanno per attrezzi, fra la strada e il precipizio. I vecchi del paese giurano fosse l’abitazione di una fattucchiera.
E il vino e il cibo per i quali vanno rinomati le Langhe? Questa – avrebbe detto Kipling – è un’altra storia.
(Per maggiori informazioni: lamorraturismo.it)