Sono ormai bloccato da più di un mese in Egitto e non so bene ancora per quanto. Daniele Pellegrini che dopo un lungo soggiorno all’oasi di Siwa era mio ospite qui in Sinai a Sharm el Sheikh da dove scrivo, è riuscito a rientrare con l’ultimo volo disponibile, io sono restato.
L’Egitto è ormai completamente isolato dal resto del mondo e per un paese che vive di turismo e che normalmente è frequentato da centinaia di migliaia di persone è una situazione mai accaduta e che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.
Dopo gli anni tempestosi degli attentati terroristici nel paese era ritornata la tranquillità e con questa i turisti, venuti di nuovo da tutti i paesi del mondo. Solamente tre mesi fa mi trovavo nel tempio di Karnak dove c’erano migliaia di visitatori e nel grande parcheggio avevo contato ben 160 grandi autobus….

Ora è tutto vuoto: i siti archeologici, i musei, i parchi nazionali oltre che gli alberi e i resort che erano pieni di clienti sono stati chiusi a tempo indeterminato.
Anche le spiagge del Mar Rosso, fino a due mesi fa gremite di turisti sono luoghi deserti e il mare non è più solcato dalla centinaia di barche che portavano in gita i clienti, questo con grande gioia dei pesci e di tutti gli abitanti dei fondali marini che si sono riappropriati del loro mondo che noi umani avevamo invaso.
Il governo egiziano ha agito con celerità e decisione nel temere che la diffusione dell’epidemia raggiungesse i livelli europei bloccando tutti i voli e imponendo un coprifuoco, seppure parziale e i risultati ci sono stati: su un paese di ormai cento milioni di abitanti i contagiati sono 3500 (almeno secondo i dati ufficiali) e i morti meno del dieci per cento. Viste le condizioni igieniche generali e tenendo conto che molti egiziani non utilizzano né mascherine, né guanti e che la distanza di sicurezza è un concetto privo di significato trovo la cosa veramente straordinaria.

Qui siamo comunque liberi di muoverci come vogliamo e non ci sono poliziotti pronti a dare multe a chi si avventura per le strade se non dopo le 20 ora in cui tutti non possono più uscire dalle loro abitazioni fino alle 6 del mattino del giorno dopo.
Oggi è il primo giorno di Ramadan, mese in cui i musulmani osservano il digiuno totale dall’alba al tramonto ma alla sera e durante la notte tradizionalmente festeggiano insieme agli amici con cene e banchetti non solo nelle case private ma anche per le strade delle città. Ora è tutto diverso e una grande tristezza pervade le strade quasi deserte.
Il governo ha avviato una grande campagna di sensibilizzazione invitando con ogni mezzo gli egiziani a stare a casa coinvolgendo perfino la sfinge a indossare la mascherina rituale e scrivendo con luci colorate sulla piramide di Chefren: Stay at home!

Fortunatamente internet malgrado il sovraccarico delle linee funziona piuttosto bene e ci permette di mantenere i contatti con il resto del mondo, con gli amici, con le famiglie e con il consolato italiano del Cairo da dove la console Chiara Saulle per iniziativa dell’Ambasciata d’Italia con il consolato italiano del Cairo invia a tutti noi residenti ogni due giorni bollettini che ci aggiornano sulla situazione.
Il vero problema nasce dal fatto che al momento attuale nessuno parla di ripresa e non risulta che ci sia nessun programma a questo proposito.
La domanda che sorge spontanea è: fino a quando un paese nel quale almeno una quindicina di milioni di persone vivono solamente grazie al turismo che è la prima e più importante industria egiziana potrà sopravvivere? Fino a quando ci sarà cibo per tutti? L’isolamento, quello che in Italia viene chiamato con un ridicolo anglismo «lockdown», se dura troppo a lungo diventa un lusso che l’Egitto, come del resto neanche l’Italia, non può permettersi.
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